Lettera del Presidente

Nella mia personale riflessione sull’idea più adatta a caratterizzare questa lettera con cui, nel ruolo di Presidente di Cattolica, ho il piacere di aprire il Rapporto di sostenibilità 2021, ho ripensato a una pratica culturale diffusa tra i nativi americani, nota come “seventh generation thinking”: considerare, prima di assumere ogni decisione, quale impatto sugli individui e la comunità essa può esercitare nel tempo fino alla settima generazione a venire.
In un mondo ancora troppo concentrato sul presente e su una prospettiva di breve termine (e la situazione pandemica tuttora in corso ha rafforzato il fenomeno), vorrei quindi porre alcune riflessioni sul futuro; perché è il futuro il naturale orizzonte della sostenibilità ed è in suo nome che la progettualità del presente, singola e collettiva, acquista il suo significato più autentico.
Un riferimento immediato è quello ai 17 Obiettivi di Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, che pure rappresentano un eccellente riferimento per “un mondo in cui a tutti sono garantiti cibo, salute, lavoro, educazione, diritti e realizzazione personale, ma non a spese del Pianeta e delle altre forme di vita”. Credo tuttavia che il 2030 sia un orizzonte oramai troppo vicino per rappresentare adeguatamente l’idea di futuro.
Voglio immaginare un futuro più distante e radicalmente diverso dal presente in cui siamo immersi. Soprattutto, mi piace prefigurare un futuro più positivo e a misura d’uomo di quello che dovremo affrontare se non saremo in grado di proporre modalità innovative di organizzazione sociale e di produzione, e proseguiremo invece con una visione collettiva che vede nel business as usual la sola opzione praticabile.
Immaginare e realizzare soluzioni inedite e originali per ridefinire l’economia e la società non è un azzardo, ma una necessità del presente, forte, pressante, che interroga tutti: individui, imprese, istituzioni.
Vorrei porre un esempio. Da più parti si assume ancora che interessi economici e priorità ambientali siano conflittuali e quasi sempre inconciliabili e si guarda con sospetto all’idea di sviluppo, che ha in sé l’idea di una crescita senza limite.
Credo tuttavia che l’approccio di chi pone al centro del dibattito il dualismo sviluppo - conservazione sia non soltanto poco realistico ma soprattutto controproducente per entrambi gli obiettivi. Immagino un futuro sostenibile come capace di coniugare uno scenario di maggiore benessere per le comunità umane con il rispetto e la cura dell’ambiente e degli ecosistemi. Serve allo scopo un pensare più profondo, lungimirante, rapido.
È sufficiente riflettere su come, a pochi anni dalla diffusione planetaria dell’idea di sostenibilità, già ci appare al crepuscolo l’epoca in cui le imprese operano unicamente per integrare i principi ambientali, sociali e di governance all’interno delle loro strategie: ciò che ieri sembrava la frontiera dell’innovazione imprenditoriale si configura oggi come un approccio già superato da un nuovo paradigma, che fa delle imprese attori sociali impegnati nella riprogettazione e trasformazione dei mercati, per renderli meccanismi sostenibili in sé.
Da una fase che possiamo definire di “sostenibilità incrementale”, la prima che ha caratterizzato la responsabilità d’impresa, si procede verso una prospettiva di “sostenibilità trasformativa”, in cui le imprese si pongono quali soggetti attivi nel plasmare una nuova struttura del mercato, che a sua volta rimodella la stessa concezione che un’organizzazione ha di se stessa.
Dall’attesa che il mercato consolidi mutamenti tali da rendere possibile lo sviluppo di pratiche sostenibili si passa a un approccio che chiede alle imprese di essere soggetti abilitanti di nuove forme di mercato.
Penso anche a un futuro in cui le misure del successo di un’impresa siano radicalmente diverse da quelle odierne e in cui la creazione di nuove condizioni di sostenibilità - ma anche la mitigazione nell’immediato di condizioni di insostenibilità - sia altrettanto importante (mi piace pensare, più importante) che realizzare un utile economico.
Penso a una prospettiva nuova, che si concentri sulle cause e non sui sintomi; che non rimanga confinata sulla prosperità e sulla crescita dell’impresa ma allarghi il suo sguardo su un orizzonte più vasto, che abbraccia la vitalità e la qualità della società e la cura dell’ambiente naturale inteso come unica casa comune.
Penso, infine, a una leadership ambiziosa, lungimirante e ugualmente trasformativa, che non si riduca alla gestione dell’esistente ma assuma su di sé il compito di prefigurare e realizzare il passaggio a modalità del tutto nuove di pensare e agire.
“Cambiare il modo di fare business” non è un’espressione strumentale a preservare lo status quo: è una necessità vitale per evitare che il futuro - e con esso la vita delle generazioni che verranno - sia soltanto un tempus nullius, un tempo vuoto che non appartiene a nessuno, un territorio desolato. Per questo l’idea di sostenibilità è essenziale, e va presa sul serio da tutti, da un’impresa come Cattolica ma al tempo stesso da ciascuno di noi.
Grazie al percorso compiuto in questi anni lungo la via della sostenibilità, Cattolica si presenta all’appuntamento con il Gruppo Generali come un’impresa credibile e forte di scelte progettuali coerenti e lineari, scevre da ogni finalità che non sia la declinazione di un’idea di sostenibilità orientata a generare effetti positivi in ambito economico, sociale e ambientale secondo una concezione di futuro che pone al centro la qualità della vita delle persone.
Sostenibilità come riprogettazione del futuro, quindi. E il necessario coraggio, per porre in discussione molti dei paradigmi socioeconomici esistenti. Ma anche trasparenza, quale condizione necessaria per generare fiducia e favorire una nuova concezione di corporate purpose. Per il presente, certamente, ma soprattutto per quelle sette generazioni a venire, il cui futuro dipende dalle nostre scelte di oggi.
Davide Croff
Presidente